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Martina Cavallarin

Marotta & Russo lavorano sulla comunicazione e la manipolazione dei segni che gli artisti trovano nel mondo e che restituiscono secondo la loro privata visione. Si tratta di un punto di vista che comprende testi e sottotesti della cultura digitale, sviluppati attraverso la coniugazione espressa dai nuovi media. L’indagine si svolge nella direzione del passaggio che va dall’individuale al collettivo, dal personale al plurale per effettuare l’esplorazione  necessaria del paesaggio contemporaneo.

I linguaggi impiegati vanno dal video all’installazione, dalla fotografia alla costruzione di pannelli su stampa digitale la cui unicità risiede, anche, nell’elaborazione compiuta da macchinari che inevitabilmente escono dalla produzione con la conseguente irriproducibilità dell’opera nel tempo.

Marotta & Russo riprendono oggetti e soggetti simboli della nostra società traducendoli, nel costruire e realizzare l’opera, in un’altra forma attraverso un procedimento di rielaborazione che ci conduce di continuo dal dato reale all’esperienza virtuale. La struttura della loro poetica artistica s’innesta in una visione democratica che intercorre tra le cose implicando una conversione di oggetti e luoghi, segni e simboli, spiazzamenti e percorsi verticali e orizzontali tra dentro e fuori, dato esperibile e tangibile, e interfaccia tecnologica. La distinzione tra dati e certezze, effettuata da Marotta & Russo, spoglia la struttura della nostra visione esteriore sbalzandoci in una contro realtà. L’opera finale prodotta non disarma comunque lo spettatore, ponendolo frontale a un lavoro che taglia e innesta complessità e domande attraverso un allestimento scenico di macchine moltiplicate e cromatismi che intercedono con la progettualità interna del processo. Quello di Marotta & Russo è un linguaggio davvero del qui e ora che indaga la complessità di un mondo in vorticosa e veloce trasformazione, mondo i cui effetti ci sono sconosciuti e imprevisti, inserito in una forma d’interrogazione sociale mai celata, ma protocollata e legiferata dal territorio impertinente dell’arte, inteso questo come diffusore di una pratica di relazione volta al confronto e all’interrogazione necessaria sulla direzione ineluttabile del destino collettivo.

Il lavoro di Marotta & Russo ci trasporta nel Raum heideggeriano inteso come delimitazione studiata, ma anche come centro d’accoglienza per i profughi del presente. Raum anticamente significava “un posto reso libero per un insediamento di coloni o per un accampamento” (Martin Heidegger, L’arte e lo spazio, Il Nuovo Melangolo, Genova, 1997), un limite quindi, che come intendono i greci con la parola péras non è la fine di qualcosa, bensì un inizio, un ambiente soggettivo in cui l’uomo impara a convivere con se stesso e a conoscersi. Lì vige sicurezza ed emarginazione, lontananza dal vedere e dal sentire, immersione nella privata visione, nel territorio della restituzione di un pensiero che fornisce la possibilità di entrare e uscire senza soluzione di continuità, per intraprendere un viaggio che costituisce un pericolo come tutte quelle rotte che, come afferma André Gide, solo il coraggio permette di tracciare distanti dalla costa, per affrontare le acque abissali dell’arte, universali e senza coordinate, laddove esiste la scoperta e le sue incognite.