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Arte/Neoumanesimodigitale

Sabrina Zannier

Marotta & Russo: Under the Domain Name

Comunicazione ad oltranza, bombardamento visivo, auditivo, concettuale, emotivo, sensoriale che sovraffolla il vissuto quotidiano dalla dimensione privata a quella pubblica: viviamo così tutti, tutti i giorni, e il problema non è più quello di trovare nuovi stimoli ma, semmai, di riuscire a trattenere quelli pervenutici, di evitare che ci scivolino addosso trasformandoci in ricettori frastornati e passivi. Il problema, insomma, è quello di esserci, nell’anima, negli umori, negli scenari tecnologico-umanistici dell’era contemporanea, ormai plasmata da quello “stile digitale” che rafforza in chiave esistenziale, ma anche estetica, la sempre più sottile soglia fra vero e fiction, laddove la fiction altro non è che il vero all’ennesima potenza, tanto da apparire, ma spesso anche da essere più vero del vero.
Da quando conosco Stefano Marotta & Roberto Russo, da quando vedo, sperimento e vivo i loro lavori, le loro “corse” concettuali, emozionali e sensoriali entro quel linguaggio elettronico che attraversa e modella l’esistenza, penso con maggiore convinzione che spetti all’arte il ruolo di guida entro gli scenari dell’esistenza contemporanea. Penso, insomma, al rinnovato ruolo sociale dell’arte, perché il loro lavoro, sotto il segno di un “neoumanesimo digitale”, dilata il pensiero oltre i limiti fra tecnologia-arte-vita, perché il loro lavoro è contrassegnato da quel cortocircuito fra ‘bit’ digitale e ‘quid’ umano che rende sapienti e familiari i media elettronici e dota l’uomo di maggiore consapevolezza sulla sua energia psichica ed emotiva. Ed è proprio la ferrata presa di coscienza del lavoro e, prima ancora, del loro atteggiamento verso le cose e il mondo, che si traduce in meditata progettualità, a connotare la ricerca tutta di Marotta & Russo, che non poteva che raccogliersi sotto il titolo di Avatar Project. Progetto, per l’appunto; progetto legato al concetto di ‘avatar’ che, transitando dalle culture indù ai display di internet, contiene in sé il principio della pluralità, del multiplo, della perseverante mutazione relativa al binomio antropologia/comunicazione.

 


Avatar Project: navigando tra ‘bit’ e ‘output’.

Dopo ore di navigazione in internet, di esplorazione di siti web che bombardano gli occhi e la mente con loghi, testi e icone che di home in home mutano repentinamente gli scenari che spesso ingerisco senza rendermene conto perché ciò che cerco non è la struttura del sito bensì i suoi contenuti, dopo ore e ore…mi alzo con un senso di spaesamento: percepisco una sorta di scarto rispetto alle normali prassi dell’esistenza quotidiana, dove la mia corporeità torna a farsi sentire, dove ogni azione, oggetto e luogo riacquista un peso specifico, mentre prima tutto fluiva leggero e immateriale, la mia presenza era pura visibilità, pensiero, sensorialità, emozione.
Poi osservo i lavori di Marotta & Russo, entro nell’Avatar Project, navigo di nuovo in un sito, questa volta il loro, che è un sito-opera, clicco le varie icone e mi soffermo sui loro contenuti, che sono prima di tutto delle immagini, e ritrovo i video, le animazioni, i quadri, con Lexus, l’avatar per eccellenza di Marotta & Russo, che di lavoro in lavoro, quegli stessi che ho visto nel loro studio e nelle mostre, incarna il ruolo di alter ego digitale degli artisti. E allora lo spaesamento viene meno, tutto sembra incontrarsi. E allora mi interrogo sull’’output’ (come del resto titola un’opera), ossia sull’”uscita”, sul come e sul dove ogni progetto trova la sua risoluzione finale, sul come e sul dove si concretizza in opera tangibile. E’ certo che ormai da tempo molti artisti si caratterizzano per la produzione di opere connotate da “uscite” (dalla mente e non necessariamente dal computer) diverse, laddove uno stesso autore produce dipinti, sculture, video, fotografie, performance; ma è altrettanto certo che il digitale iperbolizza attraverso la sintesi tale concetto, perché prima dell’”uscita”, ossia in fase progettuale, il linguaggio è lo stesso. Pannelli e video di Marotta & Russo nascono infatti tutti dal software del computer, a ridosso del medesimo atteggiamento verso il mondo, certo, ma anche verso il mezzo utilizzato, come non può accadere per gli artisti che passano dalla pittura tradizionale alla fotografia, dal video alla scultura o alla performance. In quel caso, pur nel rispetto della loro poetica, devono di volta in volta ridefinire l’essenza progettuale proprio in nome della radicale diversità del mezzo utilizzato. Ecco perché tutto il lavoro del duo udinese può essere contrassegnato come Avatar Project, che non è solo un progetto di net.art ma anche ogni opera presentata come quadro, video o, ancora, come lavoro di comunicazione destinato agli ambiti più disparati, che gli artisti propongono dal loro studio di consulenza e produzione per aziende, enti, istituzioni commerciali o culturali che siano. Studio anch’esso denominato Avatar Project perché questo è il lavoro che ogni giorno sviluppano navigando fra ‘bit’ e ‘output’, fra software immateriali che plasmano con rigorosa progettualità, e hardware, in tal caso da intendersi come supporto finale, come corpo contenitore del pensiero pro-gettato.

 

Le rotte di Lexus

OutPut s’intitola uno dei loro ultimi lavori, un’animazione che si eleva a paradigma, a piattaforma di riferimento di quel pensiero e di quel fare in cui la forte presa di coscienza e la radicata convinzione che la muove ha un che di maniacale, tanto da tracciare una sorta di cordone ombelicale votato al perseverante flusso e riflusso fra l’elettronica, quindi il sapere tecnologico, e quella dimensione antropologica raccolta sul terreno della collettività che chiama in causa valori etico-comunicazionali. Incentrata emblematicamente sulla figura dell’architetto, l’animazione si focalizza concettualmente su un luogo di lavoro che ammicca al passaggio dal vecchio e ingombrante tavolo-tecnigrafo al cosiddetto desktop, l’agevole e al contempo abissale “scrivania del computer”. Luogo di lavoro sul quale si sviluppa tutta la ricerca di Marotta & Russo che, nel video Openstep, pone l’accento sulla valenza emozionale e poetica muovendo le corde di una sensorialità che sempre vibra fra le maglie razionali dei loro progetti. L’attore che raccoglie tale dualismo conducendolo con “passo aperto” in luoghi digitali, ma connotati di pregnante realismo nella loro capacità di evocare sentori ed emozioni di una nuova etica esistenziale, è Lexus, l’umanoide femminile creata con la modellazione tridimensionale. Personaggio di sintesi che dai primi pannelli, di valenza più pittorico-emozionale, ha condotto il proprio passo entro scenari magico-surreali e futuribili, in cui la dimensione cosmica suggerita dal web si versa in quella domestica, ma animata dalla domotica, espressione concreta di quel cordone ombelicale che sintetizza e al contempo amplifica il cortocircuito fra uomo e tecnologia. Radicandosi sempre più entro il paradigma della progettualità, gli artisti hanno poi contraddistinto i propri lavori con una dominante segnica quale motore dell’articolazione concettuale. Incentrando così la ricerca sull’idea di “meccanismo”, di vero e proprio congegno, le serie intitolate Concept Draws, Body Count e Another Point of You hanno formalizzato la loro “lingua digitale” sul protagonismo del corpo, sempre quello di Lexus. Corpo ruotato su se stesso, ripreso da più punti di vista, avvicinato, sezionato, aperto, ridotto a griglia segnica e poi ricomposto con nuova sintesi in umanoide che corre in Openstep attraversando spazi che scorrono sotto i suoi passi, componendosi e ricomponendosi nella prefigurazione di rigorosi ed essenziali scenari urbani. Sono quelli che Lexus vive e, di passo in passo, ri-costruisce a suon di pixel; sono quelli che poi, nella serie di pannelli denominata Under the Domain Name, gli artisti generano attraverso una meditata selezione delle home pages di diversi siti web, ripresi nella loro griglia segnino-cromatica che, depurata da specifiche connotazioni (testi, icone, loghi), si trasla in mattone virtuale per l’innalzamento di improbabili edifici. Nasce così una sorta di metafora di luogo che eleva il World Wide Web a vero e proprio ambiente metamorfico, entro il quale e dal quale pulsa l’anima e la mente antropologico-culturale della mutante corporeità contemporanea.